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_Diventare registi di un ambiente

Cosa si impara frequentando il Master in Interior Design della Scuola Politecnica di Design di Milano? Lo abbiamo chiesto all’architetto Guendalina Di Lorenzo, titolare del corso.
Un ambiente ben disegnato è in grado di trasmettere emozioni e di raccontare una storia: per questo è molto importante per chi vuole intraprendere la professione di interior designer avere un’adeguata preparazione, come sottolinea l’architetto Guendalina Di Lorenzo che ha lavorato a Londra con grandi studi, come Andrew Martin e Harper Mackay Architects, ha collaborato con Ettore Sottsass per disegnare ville private, uffici, alberghi e negozi ed è titolare del corso di Interior Design alla Scuola Politecnica di Design di Milano.

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Cosa vuol dire per lei progettare un ambiente?
Significa realizzare uno spazio che, da una parte, funzioni da un punto di vista tipologico e della destinazione d’uso e, dall’altra, proponga a chi ne usufruirà un’atmosfera in cui provare stati d’animo diversi.

Come si svolgono le lezioni del Master in Interior Design della Scuola Politecnica di Design?
Nel mio laboratorio svolgiamo un lavoro il più possibile aderente a quello che giornalmente si è chiamati a fare nella realtà dello studio di architettura. Affrontiamo due progetti di interior design all’anno, mettendo a punto con un cliente esterno la simulazione di una situazione reale, tipo un negozio per un brand di moda, un ristorante per un famoso chef, un ufficio per un’agenzia di pubblicità. In aula, alterniamo le revisioni del progetto a lezioni teoriche. Io, tra tutti, prediligo l’approccio percettivo basato su una rigorosa analisi funzionale e distributiva dello spazio.

Quali sono le capacità che può acquisire uno studente che segue questo corso?
Cerchiamo di trasmettere allo studente l’eleganza dell’italian interior design mostrandogli quello che noi professionisti del settore progettiamo nei nostri studi milanesi; in altre parole educhiamo al contemporaneo made in Italy. Allo stesso tempo prepariamo i giovani architetti alla progettazione sul campo e a gestire il rapporto con il cliente.

Qual è il futuro di questa professione?
Il futuro dell’interior design è, a mio parere, sempre più convergente verso una professione intesa come “regia”. Regia di tante diverse discipline che consentano di offrire al cliente una sorta di “chiavi in mano”, un “contract” in cui il referente sia solo una persona che è stata scelta dal cliente. Una solida professionalità è dunque molto importante. In un mondo in cui tutti millantano, la professionalità e l’autorevolezza sono ancor più che nel passato requisiti fondamentali.

(Intervista, Foolmagazine.com)



Olafur Eliasson e Tadao Ando

Peter Zumthor

Louis Barragan

Kazuyo Sejima

Richard Serra

Lucio Fontana

Louis Barragan

John Pawson

Rem Koolhaas

Herzog & de Meuron

_Disegnare la percezione

L’architetto è un creatore di bellezza e la bellezza è negli occhi di chi la guarda, diceva Platone. Come si può far coincidere una materia così fisica come l’architettura con un concetto così soggettivo come la bellezza? Come si può creare un edificio oggettivamente bello?

Oggi siamo abituati a vivere in uno stato di contraddizioni: la politica e l’economia sviluppano situazioni dinamiche che nessuno riesce a spiegare completamente. La comunicazione di massa, per parte sua, produce un mondo artificiale di simboli dove qualunque cosa è permessa. La conseguenza è un mondo sovraccarico di informazioni e segni, dove però la verità è nascosta. L’architettura, in quanto disciplina reale e non virtuale, in questo eccesso di simboli e rimandi, deve ricominciare dalla verità e tornare ad essa, sempre nel quadro della contemporaneità.

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Prima di tutto bisogna cercare ed analizzare il significato autentico dell’architettura. L’autenticità si trova nei suoi elementi fisici: i materiali, la costruzione, il supportare ed essere supportati, lo space planning, le proporzioni, le soglie, i percorsi, l’illuminazione ecc. Il problema maggiore, oggi, è la mancanza di fiducia da parte degli stessi progettisti nella coscienza fisica dell’architettura;  spesso non siamo del tutto consapevoli di questo uso pratico e cerchiamo costantemente espedienti seduttivi. Diversamente dall’artista, che ha a che fare col bello in sé, l’architetto ha anche a che fare, e molto, con la parte funzionale e tecnica. Una volta che il brief funzionale e tecnico è giunto a compimento, il passo successivo è concentrarsi sull’unità dello spazio. Intendiamo uno spazio unitario in cui ogni dettaglio prende parte al tutto, in armonia. Il nostro obiettivo è lavorare su progetti auto-sufficienti utilizzando un linguaggio contemporaneo. E’ molto importante che non pensiate «frammentato»: la percezione del tutto non deve essere continuamente distratta dai dettagli, che pure sono fondamentali per la corretta percezione dell’insieme.

Una volta che il progetto di interni è ben ideato e ben elaborato, cos’è che fa la differenza? Quando abbiamo disegnato uno spazio coerente e accurato, come si può aggiungere quel tocco speciale che solo la grande architettura ha? La differenza tra un progetto corretto e un progetto affascinante sta nell’atmosfera che viene creata dal progettista, ossia nella poesia dello spazio. La  poesia è una verità inaspettata, noi cerchiamo la poesia del reale. La percezione di questa poesia consiste in comprensione immediata oppure in rifiuto istintivo da parte dello spettatore. Sappiamo infatti che la percezione emotiva è la più veloce delle nostre percezioni perché è quella che gli esseri umani utilizzano per la sopravvivenza. Costruire la giusta atmosfera dipende dalla sensibilità del designer e dal suo gusto. Anche se ciò ha a che fare con l’esercizio della professione e con criteri razionali, si tratta di un tema irrazionale, una questione di percezione. Analizziamo, di seguito, i diversi aspetti architettonici il cui controllo determina l’atmosfera dello spazio e la sua percezione secondo le intenzioni del progettista.

Uno degli elementi principali per costruire l’atmosfera è il controllo della luce sia naturale che artificiale, il tema è così vasto che va trattato approfonditamente a parte. La complessità della realtà non è complicazione, gli strati profondi di ciò che ci circonda vengono meglio percepiti nell’immobilità e la luce aiuta ad accentuarli e quindi a vederli. Si può pensare di progettare la luce considerando l’edificio una massa d’ombra, come dice Peter Zumthor, poi pensare di introdurre la luce dove vogliamo che esso sia luminoso, infine pensare a come la nostra luce reagirà con i materiali e le finiture. Un buon progetto illuminotecnico è sempre legato all’azione-reazione con la palette dei colori di progetto e i materiali presenti.

I materiali possono essere opachi o traslucidi, avere una texture particolare o essere lisci. La texture cambia l’interazione tra il tipo di finitura e l’impatto della luce su di esso, per questo è fondamentale preparare per sé e per i clienti un “sample board”, ossia una tavola dei materiali accostati, per vedere come interagiscono tra loro. Una saggia oppure un’inaspettata combinazione di materiali può produrre poesia. I materiali non hanno qualità poetiche di per sé, ma le acquistano se sono ben combinati. I materiali non finiti, ad esempio,  contribuiscono ad una atmosfera creativa dove i fruitori si sentono parte di un “work in progress”. Kazuyo Sejima usa in modo preciso e sensuale un materiale «crudo» come la lamiera, rivestendo la facciata di un edificio residenziale in un contesto metropolitano. La facciata è orgogliosamente silenziosa nel mezzo di un agglomerato urbano confuso e produce così un effetto poetico molto forte. Un altro tema importante è l’uso di materiali locali, che si intreccia anche con il problema dell’intervento sull’esistente. Intervenire sull’esistente significa dichiarare la nostra identità rispettando lo spazio che c’era gia’ prima di noi: esprimere cioè la nostra forza progettuale e originalità nell’osservanza del contesto. Per questo utilizziamo i materiali tradizionali in modo contemporaneo. Uno dei nostri obiettivi, come designers di oggi che spesso ristrutturano, è quello di creare un’atmosfera con il linguaggio contemporaneo dell’architettura, essendo allo stesso tempo capaci di riprodurre l’ispirazione tipologica classica.

L’arredo su disegno nell’interior design è un altro tema che viene da lontano, nella più pura tradizione del Novecento italiano, e contribuisce alla percezione di un luogo unico e speciale, costruito su misura per chi lo abita. Costruire nel tempo un team di buoni artigiani è fondamentale: il falegname, il fabbro, il vetraio, il resinista. I materiali prodotti  e maneggiati dagli artigiani possono raggiungere risultati unici.

Dunque la chiave dell’approccio sta nell’interazione tra ragione e emozioni. Mentre si progetta, le sensazioni e l’ispirazione emergono e la mente le verifica fino a che una nuova luce compare nel progetto. Ogni materiale è diverso: l’unità è sempre di più che una somma delle singole parti, come nel caso dell’orologio; se combinati con sensibilità, anche materiali differenti possono vibrare insieme; se sono troppo diversi, confliggono; se sono troppo simili, muoiono. Ad esempio: uno specchio può ingrandire o moltiplicare, può rallentare l’atmosfera e la percezione oppure renderle più dinamiche.

I dettagli hanno una grande importanza nella costruzione del “magico” del proprio progetto, in uno spazio contenente funzioni diverse ciò che aiuta a mantenere l’unità del progetto sono i dettagli e i materiali.  I dettagli mostrano la capacità di comprendere il significato dell’opera e quando il designer è capace di creare un collegamento adeguato tra forma e significato, si genera poesia. Un tipico dettaglio che sovente passa inosservato ma che ha grande importanza è la soglia. Disegnare con fluidità e omogeneità uno spazio significa anche essere capaci di controllare i passaggi e le soglie. In scultura, ad esempio, la mancanza di saldature è sinonimo di perfezione formale, in architettura il controllo della soglia e del limite è molto più complicato. Nel lavoro di Richard Serra l’oggetto è perfettamente omogeneo, l’obiettivo è la forma più pura possibile, il confine non esiste più. La soglia è anche un taglio, la gestione di una discontinuità. La discontinuità apre sempre ad un cambio di prospettiva, per questo è così importante, come nel lavoro di Lucio Fontana o, in tempi più recenti, di Anish Kapoor: da un’unica dimensione, improvvisamente abbiamo accesso ad una seconda dimensione. Nel progetto di architettura l’accesso attraverso la discontinuità può essere volto a proprio vantaggio producendo una sensazione di curiosità.

Altri temi di controllo del dettaglio sono i passaggi, gli incroci e la relazione con l’esterno. Quest’ultima consiste nel disegno del diaframma tra dentro e fuori. Una stanza tutta per sé o una stanza con vista? Progettare in relazione con l’esterno porta con sè nuove domande: cosa voglio che le persone vedano di me? E viceversa? Cosa significa essere «dentro» ed essere «fuori»? Come posso disegnare efficacemente questo diaframma? L’architettura ha fondamentalmente due possibilità di organizzare lo spazio: un design chiuso che isola lo spazio verso il suo interno e un design aperto che include lo spazio che si relaziona con quello esterno. Dentro a queste due situazioni, il designer disegna un posto. I confini dell’interior design sono cornici costruite intorno alla natura, quadri rispettosi della bellezza intorno a noi,  un’opportunità per portare l’esterno dentro al nostro spazio. Questo l’approccio della scuola razionale, ma esistono anche altri approcci, in cui l’esterno diventa tutt’uno con l’interno, entrandovi a viva forza.

Rientrano nella categoria del dettaglio architettonico fondamentale anche le scale, che possono essere molto diverse tra loro, anche a livello percettivo. Una scala stretta rievoca l’architettura monacale e induce ad un sentimento di curiosità e poi, una volta in cima, di sorpresa; una scala monumentale provoca soggezione, ma anche senso di potenza ed elegante formalità; una scala può essere anche vetrina o agorà. Una variabile importante nella percezione è la proporzione dell’oggetto. Le proporzioni nello spazio sono connesse ai gradi di intimità del progetto: la grande scala di progetto induce una sensazione di grandeur, dispersione o spaesamento; la piccola scala suggerisce intimità, concentrazione, claustrofobia.

I percorsi costituiscono un altro tema difficile da controllare con sicurezza e fondamentale. Elemento invisibile del progetto, la circolazione deve essere un suggerimento sulle opportunità di azione che si hanno nell’edificio. Il fruitore/visitatore deve essere sedotto, più che guidato; con la sua libertà prendono vita le emozioni. Anche se le funzioni sono state controllate e disegnate all’interno dello spazio in maniera decisa (e non fluida), i percorsi dentro all’edificio non devono essere obbligatori, meglio stabilire una “natural guidance”. Un maestro del genere è Rem Koolhaas: atmosfera naturale, un caos organizzato basato sulla naturale libertà dell’individuo.

Avere cura del dettaglio significa dunque curare tutta la scala del progetto e il dimensionamento degli elementi; prendersi cura delle piccole cose come maniglie, panche, dettagli e battiscopa mentre ci si confronta con elementi di grande scala come facciate e scale. Ciò ci consente di progettare un posto. Ogni posto, di qualunque dimensione, è un mondo a parte e dovrebbe essere progettato come un’unità, sia esso una stanza/una scenografia/un ambiente/un’atmosfera/un contesto. La definizione di un posto dentro allo spazio procede attraverso i vari step di progetto, a partire dai diagrammi iniziali, ovvero schemi semplici in pianta e sezione. Poi nasce il progetto preliminare e di massima e quindi il progetto esecutivo. I disegni esecutivi sono i “veri disegni” perché consentono di costruire; essi sono la prova che sai la “verità” di quello che stai facendo e non solo la sua immagine.

Oggigiorno ci troviamo ad affrontare sempre più spesso tipologie ibride di progetto, qualche volta addirittura i non luoghi di Marc Augè. Ciò significa inserire diverse funzioni dentro allo stesso spazio. Di conseguenza, mantenere unità ed identità del progetto diventa ancor più complesso, ma lo studio dei comportamenti delle persone a seconda del tipo di spazio aiuta ad integrare le diverse funzioni. L’hotel design, ad esempio, è costantemente arricchito dall’introduzione di nuove tipologie come l’hotel-museo, oppure l’hotel co-working, ecc. I nuovi valori sono quelli millennial: servizio eccellente, tecnologia e design basato sul concetto di refinement, ossia ricercatezza raffinata. Il concept store presenta invece altre tipolgie di fruizione: dalla vendita tradizionale, alla ristorazione, alla galleria d’arte. Il mondo dell’ospitalità e del retail sono molto dinamici e fonte di continua ispirazione anche per il design residenziale.

All’estremo opposto della tipologia ibrida, si assiste anche ad una iper-specializzazione dei negozi: la vineria, la torteria, e la reinvenzione delle vecchie botteghe come le macellerie o le torrefazioni. I campi di applicazione dell’interior design si espandono: le cantine enologiche, ad esempio, oggi sono progettate dalle archistar. In generale, il progetto degli spazi, le facciate, il controllo della luce, i materiali di rivestimento sono scelti per comunicare il brand e l’immagine dell’azienda: l’interior design è anche comunicazione.

In definitiva, possiamo riassumere il processo creativo e costruttivo del progetto di interior attraverso la definizione di alcuni passi successivi: la poesia è una verità inaspettata, noi cerchiamo una poetica del reale e per farlo dobbiamo disegnare la giusta atmosfera. Prima però è necessario definire il brief funzionale e distributivo e averlo risolto efficacemente. Costruire la giusta atmosfera dipende dalla sensibilità e dal gusto del designer, e anche se ciò ha molto a che vedere con l’esercizio della professione e criteri razionali, rimane principalmente una materia irrazionale, una questione di percezione. L’architettura è cioè un mix tra mente ed emozioni, dove l’espressione emotiva è forte tanto quanto è forte e decisa la personalità del designer. Spesso il design è espressione di se stessi; lavorando sul costruito, corriamo dietro alle nostre passioni e ossessioni, cercando di capirle e definendole meglio. Come dice Peter Zumthor: “quando chiedo a me stesso se, dalla mia giovinezza in poi, qualche nuova passione si è sovrapposta a quelle antiche, sento che ho sempre saputo qual era l’emozione alla base della scoperte che ho fatto dopo”. Questo significa che si possono imparare l’architettura e il design, ma non si può imparare ad essere un architetto/designer senza avere quell’intuizione originale e quella sensibilità. E, ancora, questo significa che non è possibile essere un buon designer senza curiosità e talento.

 

Scuola Politecnica di Design
Master in Interior Design
Corso di Progettazione e Interior Design _ Conferenza






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